- Vanessa Villa
- Giugno 7, 2025
Aprire varchi di speranza. Avant que nature meure di Silvia Cini
Cammino attraverso il paese, un minimo agglomerato di vecchie case assiepate lungo i bordi di strette vie, circondate da tenaci sopravvivenze di bosco e da campi arati che, presto, saranno divorati dal grigiore prefabbricato dei capannoni industriali. La strada è sempre la stessa, non è cambiata in tutti questi anni. Non è cambiata da quando, bambina, la percorrevo per raggiungere la scuola dell’infanzia. Il paesaggio, la bassa pianura bergamasca in cui sono cresciuta, invece, sì. La strada, una salita dolce per raggiungere il cuore dell’abitato, si direbbe si sia conservata quasi immutata, mentre tutt’intorno l’orizzonte è stravolto al punto tale da indurmi a dubitare della veridicità dei miei ricordi. Eppure, ho impresse nelle piante dei piedi le irregolarità del selciato, incastrato nelle narici il profumo della neve, il cinguettio del luí piccolo, il gracidio serale delle rane. C’è un punto, in questo breve tragitto per lo più trascurato dagli uomini, in cui sul marciapiede s’apre una minuscola voragine: una fenditura pressoché circolare nella forma, che accoglie qualche filo d’erba e un fiore. Questo micro-spazio che lacera il catrame, esiste qui da mesi, forse anni, forse da sempre. Petali purpurei irrompono in superficie. In silenzio, il fiore fende l’asfalto: esiste. Germoglia, fiorisce, appassisce. Apparentemente disabitata, la buca resta vacante per qualche tempo, prima che nuovi petali tornino miracolosamente a far capolino: un’esistenza impossibile e massimamente vulnerabile, un’esistenza di soglia, liminale, marginale, in bilico su un marciapiede. Un’irruzione imprevista, una presenza verde recalcitrante nell’abitato. Inaspettata? O non è, piuttosto, una questione di disattenzione, d’incapacità di lasciarsi affezionare dal reale? Plant blindness: cecità dinanzi alle potenziali sovversioni di quelle “erbacce” che, tacitamente, si agitano negli spazi interstiziali della strada, in aiuole non premeditate, in giardini e spazi incolti non previsti dagli urbanisti. Guardo il rigoglioso ciuffo verde tentare di solleticare il cielo. Lo guardo, accasato nell’asfalto, mentre il suo impercettibile frusciare mi chiede di cambiare passo. Mi domanda di deviare dal tragitto abitudinario, pochi centimetri più a destra per non calpestarlo. Il suo vivere in quell’inusuale vaso di terra, polvere e catrame, tra mozziconi di sigaretta, lacerti di plastica e residui di guano, m’appare un atto di resistenza e di speranza. Mi porta fuori dal percorso e, per spingermi a sperare, apre un varco nell’impenetrabile colata di cemento che copre la terra.
La stessa tensione a mantenere aperti spazi vibranti di speranza, l’ho avvertita quando sono inciampata nel titolo di un progetto dell’artista Silvia Cini¹: Avant que Nature Meure, “prima che natura muoia”. L’espressione suona quasi come un grido, ma non di disperazione: piuttosto, il tono è quello di un incitamento. Avant que Nature Meure: una chiamata all’azione nel presente, per il presente e per il futuro, secondo uno spirito proprio alla pratica e ricerca artistica di Cini, che è anche una pratica politica di cura. Il titolo cita l’omonimo testo pubblicato nel 1965 dal biologo e naturalista francese Jean Dorst: oggi riconosciuto come uno dei manifesti dell’ambientalismo, è una denuncia dell’impatto umano sugli ecosistemi e, al contempo, un invito a impegnarsi concretamente e collettivamente nella promozione di una visione incentrata sulla coesistenza tra specie. Cini eredita l’appello di Dorst, Avant que Nature Meure fa esattamente questo: al collasso ecologico reagisce cercando di sfuggire alla paralisi, al senso d’impotenza di fronte alla catastrofe. Non la spettacolarizza, non la prospetta come ineludibile, né si limita a illustrarla, a farne una mera tematica o a esibirne le conseguenze. Ciò che fa è nutrire ecologie affettive per spalancare interstizi di speranza con pratiche materiali di cura della biodiversità calate nel presente e proiettate all’avvenire.
Avant que Nature Meure intreccia arte e ricerca botanica in un lavoro complesso e stratificato, frutto di un pluriennale lavoro di mappatura delle specie di orchidee incontrate da Cini negli spazi metropolitani, in particolare a Roma. Tra il 2023 e il 2024 Avant que Nature Meure è stato presentato in Italia e in Europa con due mostre (ELTE Botanical Garden di Budapest, 2023; Museo Orto Botanico di Roma, 2024), affiancate da una open call e da una piattaforma digitale, insieme a un corollario di laboratori, workshop, camminate urbane, talk e incontri che ne hanno sviluppato i temi principali.²
Ma l’origine di quest’opera ha radici che affondano più indietro nel tempo. Per rintracciarle bisogna arretrare almeno fino al 2015, quando l’artista avvia un censimento delle specie di orchidee geofite che fioriscono a Roma: un’operazione che condurrà camminando negli spazi urbani nel corso degli anni a seguire. Per farlo, si avvale delle indicazioni fornite da una serie di 88 tavole illustrate ad acquerello dal pittore Enrico Coleman (1846-1911).³ Dipinte dal vero tra il 1893 e il 1910, ognuna recante il luogo e il periodo di fioritura, le tavole sono raccolte nell’album Orchideomania Birmana, un prezioso archivio-erbario che testimonia la biodiversità della capitale tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. È a questa “cartografia vegetale”⁴ – come la definisce Alessandra Pioselli – che Cini si rivolge per orientarsi in una Roma nel frattempo mutata. Si muove in una cittá stratificata, dialogando attraverso le faglie del tempo con Coleman, seguendone le orme e le indicazioni.
La scelta di focalizzare l’attenzione sulle orchidee è data da almeno due ragioni: innanzitutto, parlano di connessioni e di mutuo appoggio. Come scrive Carlo Fratarcangeli, suggeriscono una forma di “sinergismo ecologico come metafora sociale”,⁵ modalità di coesistenza interspecie non ostili, in armonia con l’ambiente. La seconda motivazione riguarda le potenzialità delle orchidee come indicatori dello stato di salute dell’ambiente. L’operazione di deep mapping, infatti, vuole fornire una base scientifica per avviare una collaborazione con enti e tecnici, al fine di regolamentare le tempistiche di sfalcio delle aree verdi urbane. Lavorare sugli sfalci è un’azione a sostegno e salvaguardia della biodiversità perché significa, per esempio, favorire gli impollinatori e migliorare la qualità dell’aria.
Queste le premesse e le aspirazioni del progetto di Cini, un lavoro che “è un processo di ricerca in itinere, una mappatura odierna di infiorescenze spontanee, che innesca un dialogo tra esperienze fisiche di attraversamento di luoghi e raffigurazioni, mindscape e landscape, la storia di ieri e di oggi, dati scientifici e altri saperi, botanica e pratica artistica, spazi residuali e crescita urbana, vicende umane e vita vegetale.”⁶ Contraddistinto da modalità riconducibili a quelle di un progetto di citizen science, Avant que Nature Meure mette in risonanza arte e scienze naturali (insieme alla loro storia), urbanistica, ricerca botanica. Articolato in più fasi di sviluppo, diramandosi in mostre, incontri e laboratori in collaborazione con diverse istituzioni,⁷ il progetto ha previsto la creazione di una piattaforma digitale per raccogliere informazioni sulle fioriture di orchidee a Roma.⁸ L’invito a essere parte di una rete attiva e dinamica di collaboratori assume concretezza nell’apertura di una open call: rispondere a questa “chiamata all’azione” significa contribuire a moltiplicare le osservazioni sul campo. Non solo: vuol dire anche imparare a spostarsi nella città adottando una nuova postura, orientando diversamente lo sguardo, cercando di sintonizzarsi su linguaggi e modalità di esistenza che non sono i propri.
In occasione della mostra all’Orto Botanico di Roma (2024), in un’installazione audio-ambientale che ripercorre il progetto, le pareti dello spazio espositivo hanno accolto le fotografie delle orchidee rintracciate dai partecipanti all’open call, accanto alle quali sono state presentate sculture galvanoplastiche. Pensate per avere una funzione pratica, sono prototipi per creare “segna-sfalcio” da collocare nei punti della città in cui ridurre gli sfalci. Le sculture segna-sfalcio delle orchidee sono strumenti che portano in primo piano un problema riguardante non solo questi fiori, ma un più esteso ripensamento della cura delle aree verdi nel tessuto urbano. Puntando a essere immediatamente necessari, mettono in luce il ricorso a un’estetica pragmatica legata alla volontà del progetto di costituirsi come una pratica capace di avere ricadute reali nel quotidiano.
Avant que Nature Meure ragiona sull’impatto dell’urbanizzazione sul paesaggio, sulla perdita della biodiversità, sull’importanza di avere cura degli ecosistemi anche attraverso il fare dell’arte. Cerca di far maturare una presa di coscienza rispetto alla città come entità vivente, animata da una pluralità di forze e voci, innervata e vivificata dai molteplici modi di interazione tra umani e non umani. Così, Roma è riconosciuta come “olobionte metropolitano in cui popolazioni vegetali, animali e minerali cooperano e confliggono nel gioco di interdipendenze, coevoluzioni, divergenti temporalità e storie che determinano e imbevono il suo tessuto urbano”.⁹ Concepire la dimensione urbana come imperniata su relazioni interspecie è il punto di partenza per un cambio di passo e di visione, qui stimolato attraverso esplorazioni urbane volte alla ricerca di orchidee. Si tratta di “psicogeografie del selvatico” che –riprendendo le pratiche di dérive situazionista– fanno del camminare un’esperienza corporea che aiuta a imparare a cogliere la realtà nella sua multidimensionalità. Come spiega Pioselli, “è una forma di conoscenza situata che mette in questione le premesse della botanica sistematica, il metodo e le cognizioni scientifiche, senza scartarle, ma rendendo porosi i confini dei dati e delle classificazioni tassonomiche ad altre forme di individuazione sensibile, corporea, intuitiva ed esperienziale.”¹⁰ Avant que Nature Meure riflette su come ci relazioniamo a ciò che ci circonda a partire da come attraversiamo, concepiamo, percepiamo e costruiamo gli spazi, incentivando una rinnovata consapevolezza dello spazio urbano. Infatti, esperire la città in questo modo si lega alla necessità di una visione ecocentrica, che ci aiuti a ricordare che siamo immersi in un ambiente che non è esclusivamente nostro. Cini si perde, e invita a perdersi, tra le maglie urbane spinta anche dal desiderio di lavorare nelle venature del tempo: osservare la città cogliendone i mutamenti e il divenire, aiuta ad adottare un altro punto di vista. Le piante suggeriscono di fare un passo indietro, o a lato: deviare dal percorso e provare a guardare all’altro che ha linguaggi, tempi e modi diversi dai nostri, simili o dissonanti. A prendere vita sono azioni interpretabili come rimedi alla plant blindness: non si tratta solo di compiere uno spostamento corporeo e di osservare le orchidee, ma anche di comprendere che come guardiamo impatta su come pensiamo. Avant que Nature Meure “riorganizza” lo sguardo della specie umana sul mondo: entra in campo una dimensione etica e politica, sostenuta da azioni volte a sradicare il nostro ambito percettivo decostruendo sguardi antropocentrici in favore di visioni più inclusive, di sensibilità rinnovate nei confronti del mondo umano e più-che-umano con cui siamo sempre intimamente in relazione. A tal proposito, è importante la dimensione dialogica e partecipativa del progetto, entro cui l’agire del singolo diventa fare condiviso. Avant que Nature Meure nasce da un incontro, quello tra Silvia Cini ed Enrico Coleman: un evento relazionale che ne costituisce il momento natale, per poi diventare tratto genetico di tutto il lavoro. L’artista cerca un rapporto paritario “da uno a molti”, dove i “molti” non sono solo umani, ma tutto ciò che ci circonda: viventi e non viventi, piante, minerali, paesaggi, insetti, fiori, fiumi. L’opera diventa scambio totale, si implementa e vive di contributi altri e altrui, è un camminare insieme, con derive e incertezze. Avant que Nature Meure è un progetto allargato, connettivo, un incessante aggregarsi di saperi che mobilita umani e più-che-umani, che si estende a temporalità e realtà geografiche, sociali e culturali differenti. Nel generare e sostanziare una coscienza condivisa sul tema della biodiversità, la collaborazione è centrale. Qui entra in campo il mutuo appoggio: introdotto da Pëtr Kropotkin nel suo libro Mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione (1902), il concetto descrive una forma di cooperazione sociale riconosciuta come motore evolutivo, sottolineando che fattori chiave per la sopravvivenza e prosperità di una specie non sono solo competizione e lotta, ma anche azioni di sostegno reciproco. Portando in primo piano la solidarietà tra umano e più-che-umano, il mutuo appoggio si rivela essenziale per costruire società più eque e giuste in senso interspecie. Le orchidee incarnano simbolicamente tutto questo, donandosi come esempio di reciprocità: suggeriscono possibilità di coabitazione non più fondate su una visione del mondo come una mera risorsa da sfruttare ed espropriare. Al riguardo è rilevante il modo in cui l’artista lavora con gli immaginari che avvolgono la flora, rivolgendosi sia all’ambito artistico, sia alle rappresentazioni scientifiche. Cini ricorre a strumenti e metodologie proprie alla museografia e allo studio e ricerca scientifica: linguaggi, metodi, strategie espositive, materiali legati a sistemi di produzione di conoscenza (mappature, catalogazioni, erbari, teche espositive, etc.) sono sovvertiti nelle sue installazioni. Esemplificativo è il ricorso alla galvanizzazione per la creazione dei segna-sfalcio: una tecnica in uso nella seconda metà dell’Ottocento –l’epoca di Coleman– nei musei di storia naturale mitteleuropei. Ma qui, anziché instaurare rapporti tra dinamiche di produzione di sapere e forme di controllo oppressive che permettono di colonizzare, oggettificare e assumere atteggiamenti predatori nei confronti del mondo, quegli stessi strumenti suggeriscono epistemologie di segno opposto. Così, “custodire” le orchidee si afferma come una pratica materiale e politica di cura.
Avant que Nature Meure aspira a trasformare il reale, cambiando il modo di accostarsi a esso. Cini alimenta dinamiche sociali, si fa co-costruttrice di corpi sociali multispecie, di comunità ecologiche. Il desiderio di animare una visione plurale e non antropocentrica del quotidiano prende forma in un’opera intrinsecamente relazionale, in cui tutti, umani e più-che-umani, sono protagonisti in un progetto per un cambiamento verso una nuova epoca post, o oltre, l’Antropocene.
La crisi climatica e ambientale solleva domande a proposito dei processi di assoggettamento dei non umani. In un contesto come quello attuale, segnato da crisi globali sociali, politiche, economiche, dal genocidio, dalla guerra, dalla catastrofe ambientale, rivolgersi a piante, fiori e minerali può apparire irrilevante: un atto vano, pura e astratta utopia, un futile sognare a occhi aperti. Avant que Nature Meure, però, si muove in senso contrario, mostrandosi recalcitrante, opponendo resistenza a un monologo distruttivo. Prova a periferizzare l’umano, a deviare dalla Storia per dar voce a storie che sono più-che-umane, a disinnescare sguardi che oggettificano il mondo. Mostra l’arte come un campo operativo per ri-concettualizzare il nostro rapporto con umani e non umani, favorendo l’emergere di un paradigma biocentrico, ripensando l’umano in prospettiva ecosistemica. Lavori come quello di Cini, che aiutano a disimparare approcci e logiche meccanicistiche che ci alienano dai legami con il più-che-umano, appaiono portatori di speranza perché l’arte è praticata perseguendo un’idea di comunità diversa: una che nasce da un profondo ripensamento dei rapporti tra forme di socialità tra l’umano e il più-che-umano; che riconosce la vulnerabilità delle relazioni che ci connettono visceralmente. Inoltre, qui l’arte si configura come una proposta concreta per una transizione verso un futuro come bene condiviso tra comunità umane e non umane. Simili pratiche e ricerche artistiche sono esercizi creativi di cura interspecie, caratterizzati da una forte dimensione etica e politica che li rendono processi trasformativi in cui si fa l’utopia, agendo con forze immaginative nel reale, cambiandolo insieme. Avant que Nature Meure è un progetto artistico che è politica, futuro e speranza. Nutre e si nutre della speranza di trovare l’impossibile e di realizzare ciò che, apparentemente, è impensabile: un’orchidea tra l’asfalto, viva e rigogliosa nell’inosservato di un agglomerato urbano.


Note
¹ Silvia Cini (Pisa, 1972) è un’artista e curatrice il cui lavoro vive all’intersezione tra arte, ambiente e botanica. Con un approccio multidisciplinare, mette in dialogo i territori dell’arte, delle scienze naturali, della zoologia, della geologia e dell’urbanistica. Il suo lavoro è teso ad attivare dinamiche di scambio e coinvolgimento reciproco, in processi creativi che allargano la sfera relazionale al più-che-umano, impegnandosi nella costruzione di narrazioni e memorie interspecie.
² Il progetto è vincitore dell’XI edizione dell’Italian Council (2022), programma di promozione internazionale per l’arte contemporanea italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
³ Enrico Coleman è stato tra i principali protagonisti della Scuola pittorica di Paesaggio nella Roma di fine Ottocento. L’Orchideomania Birmana è attualmente conservata presso l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma.
⁴ Pioselli, A., 2025, p. 26.
⁵ Fratarcangeli, C., 2025, p. 115.
⁶ Pioselli, A., 2025, p. 26.
⁷ Alcuni esempi. Nel workshop Estranee (Kunstraum München, Monaco di Baviera, 2024) si è compiuta un’azione di mappatura della flora sinantropica in un’operazione che mette in discussione termini come “autoctono” e “alloctono”. Incentrato sulla possibilità di guardare alla botanica come punto di partenza per articolare forme di archeologia urbana è il workshop Storie più che umane (PAV – Parco Arte Vivente, Torino, 2024): l’idea è adottare una prospettiva vegetale per costruire una memoria urbana interspecie. La mostra all’ELTE Botanical Garden di Budapest (2023) è un itinerario tra installazioni audio ambientali, sculture galvanoplastiche, fotografie e video-performance che si relaziona alle peculiarità storiche, geografiche, culturali e sociali di Budapest. Centrale è la ricerca intorno al ricamo della “rosa Matyò”, una forma di interiorizzazione e di restituzione del paesaggio del popolo Matyò. Le origini del motivo floreale sono tramandate da una leggenda con protagonista una coppia di sposi e che edulcora il lavoro femminile legato alla produzione del corredo nuziale. Spontanee (Careof, Milano, 2023) è un dialogo tra Silvia Cini e gli artisti Stefano Boccalini, Stefano Cagol, Pasquale Campanella, Gea Casolaro, Leone Contini, Claudia Losi, Emilio Fantin.
⁸ La piattaforma digitale è stata realizzata in collaborazione con la Facoltà di Scienze Ambientali dell’Università della Sapienza di Roma. Accedendo alla piattaforma e rispondendo all’open call, si compila un form indicando informazioni utili alla localizzazione delle orchidee, insieme a relative fotografie.
⁹ Pioselli, A., 2025, p. 30.
¹⁰ Pioselli, A., 2025, p. 35.
Riferimenti bibliografici e sitografici
Borselli, Daniel, Cini, Silvia, Avant que Nature Meure. Intervista a Silvia Cini, in “ESPOARTE. Contemporary Art Magazine”, 31 agosto 2024, https://www.espoarte.net/arte/avant-que-nature-meure-intervista-a-silvia-cini/ (accesso il 28/05/2025).
Cini, Silvia – Avant que Nature Meure: https://avantquenaturemeure-cini.it/ (accesso il 28/05/2025).
Cini, Silvia, Cercando Coleman. Avant que Nature Meure, in Pioselli, Alessandra (a cura di), Silvia Cini. Avant que Nature Meure, Macerata, Quodlibet, 2025, pp. 51-85.
Fratarcangeli, Carlo, Una visione ecologica della città eterna, in Pioselli, Alessandra (a cura di), Silvia Cini. Avant que Nature Meure, Macerata, Quodlibet, 2025, pp. 113-115.
Kropotkin, Pëtr, Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione, Milano, Elèuthera, 2020.
Pioselli, Alessandra (a cura di), Silvia Cini. Avant que Nature Meure, Macerata, Quodlibet, 2025.
Pioselli, Alessandra, Avant que nature meure. Geografia affettiva di una infiorescenza, in Pioselli,
Alessandra (a cura di), Silvia Cini. Avant que Nature Meure, Macerata, Quodlibet, 2025, pp. 25-36.

Bergamo, 2000. Laureata in Arti Visive e in Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, con una tesi che indaga le potenzialità di pratiche creative connesse al giardinaggio e alla coltivazione come possibili modelli per progetti artistici e curatoriali. La sua ricerca esplora le zone di contatto tra arte e ambiente, focalizzandosi su progetti che si muovono in una dimensione relazionale e all’intersezione tra arte, attivismo culturale, ecologia.
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