Diaspora meridionale

C. Sidonie Pellegrino

DIASPORA MERIDIONALE è un’azione collettiva a carattere performativo di C. Sidonie Pellegrino, curata da Alessandra Martina e Claudia Spoto e promossa da A.G.I.T.A. ETS e dal C.R.I.L.G.

L’azione si è tenuta il 12 aprile 2025 in Piazza della Repubblica a Milano, luogo storicamente legato all’emigrazione meridionale; le fotografie di documentazione del lavoro sono di Edoardo Bonacina.

Attraverso la partecipazione di 30 volontari e il coinvolgimento diretto del pubblico formatosi spontaneamente, quest’azione collettiva tratta della diaspora meridionale, analizzando i dati di emigrazione interna dal Sud al Nord Italia e l’esperienza del movimento diasporico che vive la soggettività meridionale messa a confronto con l’Altrove.

La diaspora, secondo l’artista, si configura come un movimento centripeto in costante tensione verso l’Altrove: l’azione performativa, infatti, prevede lo srotolamento di un tessuto di 36 metri che assume la forma di spirale grazie ai partecipanti. Sul tessuto sarà possibile leggere una delle frasi del testo letto durante lo srotolamento: “La questione meridionale non è finita e neanche la nostra diaspora”. Per poter leggere l’intera frase, bisogna entrare nella spirale, quindi esperire quel movimento centripeto, quella tensione che il lavoro vuole restituire. Riportiamo di seguito il testo letto durante l’azione:

Un 8 seguito da 6 zeri.

8 milioni.

8 milioni è la previsione fatta dallo SVIMEZ, l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, del numero di emigrazioni dal Sud al Nord da qui al 2080, senza contare i diretti espatri.

8 milioni è la somma degli abitanti della Puglia e della Campania, due delle tre regioni più popolose del Sud Italia. Immaginate che un giorno, un po’ alla volta, tutti gli abitanti della Puglia e della Campania scomparissero dalle loro terre.

Ma non siamo nel 2080, siamo nel 2025, direte voi! Negli ultimi 15-20 anni ad essere emigrati verso Nord o verso l’estero siamo in 1,1 milione, quasi 1,2. 1,1 milione, o 1,2 è comunque un numero a sette cifre.¹

Da questi dati capiamo come il Sud, ancora oggi, sia il proletarificio d’Italia: non perché ad emigrare siamo tutti proletari, operai e braccianti come nel secolo scorso, anzi, ma perché siamo produzione di forza lavoro, menti pensanti e tutti quei bei termini per descrivere la gente che in un modo o nell’altro porta avanti il carrozzone. In fondo, come dice una canzone, noi siamo “il principale prodotto d’esportazione italiano”.²

Ma facciamo un passo indietro.

È il 12 aprile 2025 e siamo a Milano, Piazza della Repubblica. Perché questa piazza? Qui sorgevano due istituzioni fondamentali per l’emigrazione meridionale: la vecchia Stazione Centrale e la Casa degli Emigranti. Nella prima, quando i meridionali arrivavano dal profondo Sud col treno soprannominato la Fata Morgana trovavano un cartello con scritto, almeno per quanti sapevano leggere, “Ministero del lavoro e della previdenza sociale – Centro di emigrazione di Milano – Posto sosta EMIGRANTI – scendere dal sottopassaggio fra i binari 3 e 4”. La seconda istituzione, invece, era la Casa degli Emigranti fondata dalla Società Umanitaria e chiusa nel Ventennio (sia mai che un italianissimo debba emigrare!) : un luogo dove i cafoni, i terroni venivano aiutati a rintracciare parenti e compaesani già emigrati o dove chiunque volesse emigrare all’estero poteva controllare di avere tutti i documenti in regola.

Oggi, invece, la Stazione Centrale è un po’ più in là, alle nostre spalle. E ogni giorno qualche migliaio di meridionali arriva o parte da lì. Oggi, se dico la parola emigrante, però, per l’italiano medio non mi sto riferendo a me stessa, com’è giusto che sia. Oggi, siamo “fuori sede”. Quelle due parole, che a volte diventano una, che sembrano essere il cartello che trovi sulla vetrina del bar o del meccanico con scritto “torno fra cinque minuti”. Peccato, però, che noi meridionali, noi terroni, non torniamo quasi mai. Noi siamo cresciuti con una narrazione dicotomica e antimeridionalista che ci insegna – e qui banalizzo – che fare le cose al Sud è impossibile! Le cose si fanno al Nord o Altrove! Le cose… Ma poi, che saranno mai queste cose? Questa narrazione, che esacerba le oggettive difficoltà del Mezzogiorno rendendole cancrena, immobilismo, ci racconta di un mondo Altro in cui tutto può succedere, tutto può avverarsi: non ci resta che partire. Insomma, non abbiamo più le valigie di cartone, ma continuiamo a dover cercare fortuna altrove. Non siamo più emigranti, eppure continuiamo ad emigrare.

Allora prendi e parti, alla volta di quell’Altrove. O se non puoi partire, non fai altro che renderlo il tuo modello. In un modo o nell’altro, rispondi alla sua chiamata, e senza esserne consapevole, entri nel movimento diasporico. Questo movimento ti coglie alla sprovvista e mentre non hai neanche messo un piede oltre il confine (reale o mentale che sia) fra il Sud e l’Altrove, quest’ultimo ti ha già attirato a sé. E giri, giri, giri, in preda al movimento. Vedi gente, fai cose, come si dice qua. E continui a girare, imperterrito, ma non sei tu a dettare la velocità. Cerchi un appiglio, un modo per rallentare, poi ti convinci che se questo mondo va a quella velocità, devi stare al passo. Gira, gira, gira ancora! Vai a sbattere, cadi, riprendi a correre, la terra sotto i tuoi piedi inizia a mancare. Avanti, gira! Che ci fai ancora là? È il movimento diasporico che ti parla, un movimento centripeto, una tensione costante verso il nocciolo dell’altrove.

Finalmente sei arrivato al centro.

Sembra esserci un momento di quiete, almeno qui.

Ti guardi intorno e vedi tante persone in corsa in quella stessa spirale.

Hai solo una parola in mente: “sradicamento”. Ecco come ti senti, sradicato.

Ma non fai neanche in tempo a pensarlo che ti ritrovi a dover srotolare tutta la tua esperienza, e nonostante tu sia arrivato al centro di quella spirale, il movimento diasporico ti fagocita e ti richiama a sé. Forse l’asse di riferimento si è spostato, forse è solo il corso degli eventi.

Ma ora che hai fatto esperienza dell’Altrove, vivi quella tensione in modo diverso. Srotolando srotolando ti rendi conto di non essere solo. E inizi a chiederti che cosa significhi essere meridionale. Continui a muoverti e ti chiedi come si faccia a darsi un volto comune senza cadere nel fondamentalismo identitario. Giri, giri, giri e inizi a pensare alla parola “terrone”, e non sai bene che farci. Continui a correre, ma sovrappensiero: ti chiedi se basti essere nati al Sud per essere meridionali, o quando e se si smette mai di esserlo. Gira ancora, la corsa non è ancora finita! E poi, tutt’a un tratto, pensi al ritorno.

Ritorno.

Questa è l’unica parola che abbiamo nel nostro lessico comune. Per chi è speranza, per chi peso, fuga, pausa, nostalgia, vacanza o ferita. Ognuno le dà un significato, eppure risuona in tutti noi, è l’unico termine di cui conosciamo traduzione. È scritto nelle nostre culture che il meglio è sempre altrove, certo, ma la sua altra faccia è il ritorno. Da cosa? Verso dove? Anche il ritorno è movimento perenne.

Ma la spirale continua il suo moto perpetuo: l’Altrove ci sta richiamando a sé, non è anche questo un ritorno? A furia di guardare indietro e tendere avanti si fa un testa-coda. La diaspora meridionale è quindi un cortocircuito: che tu sia emigrato, che tu sia un restante³, che tu sia un ritornante, una volta entrato nel movimento diasporico, sei nella spirale per sempre. Hai perso il conto di quanti giri hai fatto, ma una nuova consapevolezza matura in te: la questione meridionale non è finita e neanche la nostra diaspora⁴.

Adesso mi direte che diaspora è un termine doloroso, da usare con cautela e consapevolezza.

È associato ai più grandi drammi della storia, a ferite secolari da rimarginare. Ma se facciamo nostra la pratica del parlare accanto⁵, credo che possiamo affiancarci anche ai grandi movimenti diasporici.

Diaspora vuol dire dispersione, certo. Ma se nel nostro caso lo intendessimo non tanto come dispersione di un popolo quanto dispersione del Sud? Mi approprio di una domanda altrui e mi chiedo – vi chiedo – in questo perenne movimento diasporico “come facciamo a non perdere il Sud?”⁶.

C. Sidonie Pellegrino. Diaspora Meridionale, 2025. Azione collettiva, 30’. Crediti fotografici: Edoardo Bonacina

Si ringraziano Alessandra Martina e Claudia Spoto per la curatela, Edoardo Bonacina per le fotografie di documentazione, A.G.I.T.A. ETS, Artilaide Studio, C.R.I.L.G. e Osservatorio Maree per il sostegno e l’aiuto nella diffusione dell’evento. 

Si ringraziano i partecipanti dell’azione nel giorno 12/04 Chiara Antonelli, Amal Ottavia Basir, Gabriele Bianchi, Andrea Coppola, Francesca De Carlo, Luz Del Carmen, Fabrizio D’Onofrio, Giuditta Falda, Camilla Ferrone, Elisa Frau, Sasha Gallicchio, Annaviola Gambardella, Maria Giovanna Lahoz, Martina Lomascolo, Vittorio Marini, Alessandra Martina, Francesco Mina, Enrico Napolitano, Daniela Noviello, Filippo Paci, Aurora Perini, Alice Pettorazzi, Giovanni Picco, Silvia Pollio, Veronica Sbardellati, Sofia Schartner, Noemi Simonti, Claudia Spoto, Riccardo Ricca, Nensi Troiano, Mario Uliassi. 

Si ringraziano il Comune di Milano, gli uffici PIDS e Area Verde del Municipio 2 e The Westin Palace Milan per la concessione di occupazione temporanea di suolo pubblico dell’area verde di Piazza della Repubblica in cui si è tenuta l’azione.

C. Sidonie Pellegrino

C. Sidonie Pellegrino (Castellammare di Stabia, 2002) è un’artista visiva e curatrice indipendente la cui ricerca si focalizza sulla questione meridionale. Attraverso un approccio meridionalista indaga sia le componenti storico-politiche che la contemporaneitá del Sud Italia, con una particolare attenzione alle sue culture popolari e la dimensione di dissidenza. 
Fra le mostre a cui ha partecipato emergono una bipersonale alla galleria ArteSpazioTempo di Venezia curata da Attiva Cultural Project e numerose mostre collettive in spazi come la Fabbrica del Vapore e il Palazzo Reale di Milano. È parte di due collettivi artistico-curatoriali: Artilaide Studio e Collective Display.

Agita ETS

Artilaide

C.R.I.L.G.

Piazza della Repubblica
Milano

con il sostegno di Comune di Milano, gli uffici PIDS,
Area Verde del Municipio 2 e The Westin Palace Milan

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