- Mariachiara Falcomatà
- Aprile 10, 2025
Gli oggetti nello specchio sono più vicini di quanto appaiano
Per più di due decenni Björk, che ha fatto dell’ecologia uno dei capisaldi del suo percorso artistico, è sempre riuscita a evitare che le si attribuisse una qualsiasi etichetta fino a quando, nel 2015, costretta dall’incombenza di una retrospettiva organizzata dal MoMA sulla sua carriera ventennale, inizia a chiedersi a quale –ism appartenga, prima che qualche critico gliene ascriva erroneamente qualcuno. A riguardo, in collaborazione con la retrospettiva, decide di includere nel volume Björk Archives la sua corrispondenza via e-mail con Timothy Morton, autore di alcuni tra i più importanti saggi sull’ecologia fra cui Hyperobjects. Philosophy and Ecology After the End of the World (2013), che gli è valso il titolo di filosofo o profeta dell’Antropocene. Studioso di letteratura inglese, si specializza sul Romanticismo soprattutto su Mary e Percy Shelley, informazioni fondamentali per comprendere la sua poetica plasmata da incursioni da parte del mondo della letteratura, delle arti, della musica e delle scienze.
Secondo la metodologia dei critical studies, Morton inizia a parlare di ecologia attraverso i romanzi dell’Ottocento. In Hyperobjects si riferisce agli oggetti attraverso l’Object Oriented Ontology, ideata da Graham Harman nell’ambito del realismo speculativo, uno dei movimenti più influenti della filosofia contemporanea. Si pone in contrapposizione al correlazionismo, volgendo l’attenzione non più alla relazione tra soggetto e oggetto ma all’ontologia degli oggetti per cui tutte le cose, sia fisiche che immaginarie, possono essere ugualmente definite oggetti. Morton, in una e-mail a Björk, dichiara «I tend to see things in an animistic way. I try to argue that everything is alive (or undead—almost as good!)». L’oggetto ha quindi vita propria e prescinde dalla relazione con gli umani e con gli altri oggetti, facendo così perdere al rapporto uomo-mondo il primato di oggetto principale della filosofia e portando al margine della questione l’intersoggettività delle percezioni. Björk dice invece di aver letto qualcosa sul posthuma-ism, con cui non riesce però a identificarsi nonostante si tratti del primo -ism dove l’uomo non è al centro del mondo.
Il tutto parte dalle speculazioni filosofiche di Iain Hamilton Grant, Graham Harman, Quentin Meillassoux e Ray Brassier quando si incontrarono per discutere di Dopo la finitudine: Saggio sulla necessità della contingenza (2006) di Meillassoux. Secondo quest’ultimo, a partire da Kant, il rapporto tra pensiero e mondo si riduce al circolo correlazionista, il sistema di correlazioni fra l’uomo e il mondo. Contro questa impostazione, per Meillassoux la ricerca dell’assoluto deve ritornare a essere l’oggetto del pensiero. Con il realismo speculativo a collassare è un impianto filosofico che ha bisogno dell’idea di Mondo, e di tutti i suoi prodotti, per esistere. Mondo e Terra concorrono l’uno per l’altro per potersi manifestare: il Mondo necessita di un posto su cui erigersi, mentre la Terra, per potersi svelare, ha bisogno dell’idea di Mondo. Hyperballad, seconda traccia del sophomore album di Björk (Post, 1995), ha ispirato Hyperobjects nonostante in altri ambiti si fosse già parlato di iperoggettualità. Il prefisso –hyper, significa above o over, si contrappone al significato del brano stesso che, essendo appunto una ballad, è a proposito di un qualcosa di sentimentale.¹ Si parla di hyperness perché l’oggetto è iper in relazione a un qualcos’altro. Gli Hyperobjects sono «entità diffusamente distribuite nello spazio e nel tempo»² di cui possiamo vederne le manifestazioni, ma non stabilirne una concretezza. Il global warming è l’iperoggetto più caro alla specie umana: può assumere valore di oggetto a pieno titolo anche se possiamo solo osservarne le singole manifestazioni e constatarne le cause e gli effetti, non il fenomeno in sé. «Percy Shelley parlava della terribile ombra d’un invisibile potere che fluttua in mezzo a noi benché non vista»³ e gli iperoggetti si comportano esattamente allo stesso modo. «Sullo specchietto retrovisore di tutte le macchine americane campeggia uno slogan molto appropriato per i tempi in cui viviamo: GLI OGGETTI NELLO SPECCHIO SONO PIÙ VICINI DI QUANTO APPAIANO» – scrive Morton, conscio che dietro alle cose vi è molto più del visibile – «non solo l’accesso agli iperoggetti non avviene a distanza, ma diventa ogni giorno più chiaro che quello di distanza è solo un costrutto mentale e ideologico che mi protegge dall’eccessiva vicinanza delle cose»⁴.
In questo scenario di speculazioni filosofiche e suggestioni eufoniche, Moth Series si configura come una mappatura di un organismo e del suo ambiente, un suo umwelt (mondo soggettivo-individuale)⁵, entrambi sottoposti a significativi mutamenti. La struttura delle falene, archetipo del cambiamento, è solo un espediente per rappresentare l’evoluzione dell’essere, consapevole che le cose sono molto più di quanto appaiano. Ogni alterazione della falena rispecchia una prospettiva a sé ma, al tempo stesso, riecheggia all’etere intero. In Moth Series il linguaggio e il pensiero contengono una verità determinante, non servono solo a comunicarci le cose ma agiscono come una modalità di oggettivazione dell’organismo e di accesso al suo ambiente, o al suo Mondo. Come il pensiero struttura la nostra percezione della natura e della realtà, il linguaggio permette di accedere a una dimensione più profonda e non immediatamente visibile. È la chiave interpretativa verso un qualcosa di più apparentemente distante.
In The Modern Things, traccia che succede a Hyperballad, «all the modern things, like cars and such, have always existed, they’ve just been waiting in a mountain for the right moment». L’artista insinua che i materiali di cui sono fatti gli oggetti moderni sono sempre esistiti in natura in attesa di essere utilizzati dagli umani: «listening to the irritating noises of dinosaurs and people dabbling outside… they’ve just been waiting to come out and multiply and take over, it’s their turn now». Gli oggetti hanno quindi una temporalità che spesso sopravvive all’uomo ed erano già presenti in natura: disvelano agli uomini che il non-umano è ciò che porta ugualmente avanti il ciclo della Terra. La natura ha una struttura complessa e diversificata – tanto quanto quella del paesaggio antropico – che la rende altrettanto “chiassosa”. Ma, adesso che gli umani iniziano a capire di non essere i soli esecutori di una rumorosa composizione che invece è d’insieme, cosa succede al Mondo durante una delle catastrofi apparentemente più tacite del nostro tempo? L’attuale composizione della Terra rivela che tutti, umani e non-umani, contribuiscono a orchestrare il Mondo, che si dimostra ben più complesso e portatore di significati di quanto crediamo.
Nonostante ciò, c’è stato un tempo in cui gli esseri umani e la natura erano un’unica cosa, un tempo in cui l’uomo, consapevole di essere ospite, si comportava di conseguenza attraverso la misura necessaria a mantenere vivo questo legame. Quando questo equilibrio si è interrotto, il considerarla come un’entità a sé stante, lontana della vita, dalle azioni e dalle conseguenze dell’attività umana, facendo della tecnica l’unica sua fonte di sicurezza, l’umanità ha iniziato ad introdurre quella che Morton definisce l’età dell’Asimmetria: «l’ironia asimmetrica si verifica […] quando salviamo la Terra ma non abbiamo idea del perché»⁶. La specie umana prima ha terraformato⁷, poi si è posta come difensore da un male che essa stessa ha creato. Nella peggiore delle ipotesi ha cercato di occultare dando vita al greenwashing ma, «in caso di emergenza ecologica, rompere il vetro».⁸

Bibliografia
1. Björk, Chat AOL, novembre 1995. Disponibile online: https://14142.net/bjork/articles/bjork/aol1995.txt.
2. Timothy Morton, Iperoggetti. Filosofia ed ecologia dopo la fine del mondo, trad. di Vincenzo Santarcangelo, Roma, NERO Editions, 2018, p. 9.
3. Ivi, p. 91.
4. Ivi, p. 39.
5. L’intera ricerca si inserisce in un’indagine più ampia, influenzata principalmente dall’umwelt di Jakob von Uexküll, dalla weirdness di Morton in Dark Ecology. For a Logic of Future Coexistence (2016), dagli studi di Gilles Clément e Ernst Haeckel e dal concetto di “mondo” nella filosofia di Heidegger.
6. Timothy Morton, Iperoggetti. Filosofia ed ecologia dopo la fine del mondo, Cit., p. 210
7. Riferendosi all’attività umana, causa dell’era geologica dell’Antropocene, Morton parla di “terraformazione”. In Dark Ecology. For a Logic of Future Coexistence (2016), definisce “agrilogistica” l’uso della terra a fini antropocentrici: l’uomo ha iniziato a terraformare nel momento in cui ha messo in atto le logiche dell’agricoltura.
8. Timothy Morton, Iperoggetti. Filosofia ed ecologia dopo la fine del mondo, Cit., p. 154

Mariachiara Falcomatà (Reggio Calabria, 1998) è un’artista visiva, educatrice museale e content creator. All’interno della sua ricerca la natura è vista come modalità di oggettivazione del mondo. È uno sfondo che ci è stato tramandato e sul quale distinguiamo, appunto, la natura delle cose. Ciò che si presenta come naturale, organismi, entità o ambienti, vengono sottoposti a significativi mutamenti ai fini della ridefinizione delle strutture proprie della realtà, rendendo sottile la soglia fra ciò che per l’umano è abituale e, consapevole che le cose sono molto più di quanto appaiano, un disabituale a cui rimandano. Collabora con istituzioni e associazioni culturali contribuendo all’ideazione e gestione di attività educative, alla creazione di contenuti e alla progettazione di strategie di comunicazione per promuovere iniziative ed eventi nell’ambito dell’arte e dei beni culturali.
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