Hasta tu orilla: la perfomance di Regina José Galindo in memoria del naufragio di Cutro

Catanzaro non è una città che si concede facilmente. Verticale, discontinua, stratificata da secoli di contrasti e visioni divergenti, è un luogo che sfugge alle sintesi. Ma è proprio in questa complessità che affonda la sua forza generativa: Catanzaro è fertile perché irrisolta. Oggi, questa città del Sud si sta ridefinendo come crocevia di linguaggi artistici radicali, capaci di leggere il presente attraverso la lente della fragilità, della soglia, del conflitto.

A guidare questa trasformazione è PERFORMING, un progetto biennale promosso dall’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, capofila di una rete che coinvolge undici istituzioni italiane, insieme a partner internazionali. Finanziato dal PNRR, PERFORMING non è un festival, ma una piattaforma di ricerca e produzione, un laboratorio dedicato alle arti performative contemporanee. Il suo obiettivo è costruire un dialogo tra centro e margine, tra Sud e Sud del mondo, tra tecnologia e corporeità, tra accademia e attivismo.

È in questo scenario che il 20 maggio 2025, nel chiostro del Complesso Monumentale del San Giovanni, ha preso forma Hasta tu orilla, la performance di Regina José Galindo, artista guatemalteca tra le voci più incisive dell’arte politica internazionale.

 

Una barca, un corpo, una ferita aperta

Ore 21:00. Una luce chirurgica illumina il centro del chiostro. Al centro, una barca bianca. Dentro, acqua. Dentro l’acqua, il corpo nudo dell’artista, vestita solo di nero, galleggia immobile. Nessun suono. Nessun movimento. Solo la gravità del silenzio.

È un’immagine che non si dimentica. Un frammento congelato di Mediterraneo trasportato nel cuore della città. Con Hasta tu orilla (letteralmente “Fino alla tua riva”), Galindo trasforma il proprio corpo in reliquia vivente, offrendolo come archivio di una tragedia collettiva: quella del naufragio di Cutro, avvenuto il 26 febbraio 2023, in cui persero la vita almeno 94 persone — migranti provenienti da Afghanistan, Siria, Pakistan, Iran. Donne, uomini, bambini.

Galindo non rappresenta il disastro. Lo incarna. Il suo corpo sospeso diventa superficie di contatto tra ciò che siamo e ciò che scegliamo di ignorare. Non c’è retorica, non c’è pietismo. Solo una crudele, lucida esposizione.

Come ha sottolineato Simona Gavioli, curatrice della performance e docente di Fenomenologia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Catanzaro:

“Questa non è una performance spettacolare. È reale. È un atto che ti chiama in causa. Prima si accoglie, poi eventualmente si giudica. Questo è il messaggio.”

La poetica del corpo e il corpo come soglia

Da sempre, il corpo di Regina José Galindo è campo di battaglia e strumento di scrittura politica. In opere come ¿Quién puede borrar las huellas? (2003), l’artista attraversava le strade di Città del Guatemala lasciando orme di sangue per denunciare il ritorno al potere dell’ex dittatore Efraín Ríos Montt. In Himenoplastia (2004), documentava la chirurgia di ricostruzione dell’imene per denunciare il controllo patriarcale sulla sessualità femminile e gli abusi dei militari sulle donne indigene. Nel 2005, ha ricevuto il Leone d’Oro alla 51ª Biennale di Venezia come miglior giovane artista.

Ma in Hasta tu orilla, il corpo di Galindo assume un’altra funzione. Non è più resistenza, ma testimonianza. Non oppone, ma rivela. Non chiede attenzione, ma si impone. Sospeso, muto, presente. Come dichiara l’artista nel talk del giorno precedente al Teatro Politeama di Catanzaro:

“Non lascio il mio paese per scelta. Chi ha una casa, sicurezza, futuro, non fugge. Le ragioni della fuga sono sempre politiche.”

In un dialogo pubblico con il curatore Eugenio Viola, direttore del Museo d’Arte Moderna di Bogotá, Galindo ha ribadito che il suo non è solo militanza, ma una forma di verità incarnata. Viola ha sottolineato come il lavoro dell’artista sia «scomodo ma necessario», capace di intersecare la violenza della storia con la vulnerabilità della carne.

 

A Sud del mondo

Nel suo minimalismo assoluto, Hasta tu orilla è un rito laico. Un’azione di lutto collettivo, che ci chiede di guardare — davvero — ciò che spesso scegliamo di non vedere. L’arte performativa, in questo senso, non consola. Interroga. Ci chiede: dove sei, mentre altri affogano? Cosa fai, quando la riva sei tu?

Nel panorama internazionale, Galindo continua a interrogare i temi della violenza strutturale, del confine, dell’identità migrante. La sua presenza a Catanzaro non è un evento isolato, ma parte di un percorso che mette in rete pratiche artistiche e territori vulnerabili. Il Sud, ancora una volta, non è solo luogo geografico, ma metafora di tutte le marginalità.

Come ha dichiarato Simona Caramia, referente scientifica di PERFORMING:

In questa sua performance, com’è proprio dell’espressione artistica di Regina José Galindo, c’è un messaggio sociale e politico tanto dirompente quanto attuale, perché è legato al tema dei migranti.”

L'immagine che resta

La performance finisce, ma non si chiude. Il corpo esce dalla barca, l’acqua resta. Il pubblico lentamente si disperde. Ma un’immagine si fissa. Un corpo nero in una barca bianca. Una mareggiata interiore che non si placa.

Hasta tu orilla non è una risposta. È una ferita aperta. Un gesto che ci lascia sospesi. Esattamente come l’artista. Esattamente come le vittime.

Da quella barca, da quella riva, Catanzaro è diventata — per una sera — la soglia del mondo.

Crediti fotografici
Courtesy Alessandro Tarantino

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