Memorie uterine per usi futuri

Piccola goccia di legno che conosce i segreti del mondo… svelami la dispersione! Fresbee lunari ci legano in alleanze di cure e di spinte… tu svelami la sottrazione! 

Questo non è un discorso, né una tesi, né un dialogo; almeno non ancora. È un sussurro nel vento in attesa che giunga ad un seme e culli il suo viaggio. È il sussurro di una quasidonna ad un seme di Silfio trovato sull’argine vicino al pioppeto. O forse immaginato, pensato, sognato. 

Un’intima relazione, fin da piccina, con le erbe, i semi e gli intrugli, ha condotto il mio pensiero uterino a questa pianta. Una quasidonna ha bisogno di parlare con il Silfio! So che non è scomparso perchè posso ancora sentirne il profumo dolciastro e ferino che inebriava insetti e bovini intorno ai suoi fiori; posso percepirne gli echi di linfa che intrecciano il suo corpo al corso del mondo. Perciò lo immagino e immaginando si rende necessaria una forma. Il seme è il luogo in cui la forma non è contenitore ma essenza, è una forma di vita, una forma di mondo.

In latino Laserpicium, questa pianta veniva ampiamente utilizzata nel mondo antico non solo come afrodisiaco, ma anche come agente terapeutico per trattare un’ampia gamma di patologie sistemiche, inclusi disturbi gastrointestinali, infiammazioni e febbri. Le donne ne custodivano e trasmettevano usi e saperi per l’impiego ginecologico: dalle proprietà emmenagoghe e abortive, fino all’uso contraccettivo. Il frutto, un diachenio compresso di circa 1,5 cm, era ricco di oli resinosi contenenti composti bioattivi a effetto spasmolitico e potenzialmente estrogeno-simile, responsabili dei suoi effetti farmacologici sul sistema riproduttivo. La questione del sapere sottratto e la questione del sapere negato storicamente coincidono.¹

Loro sapevano: sotto le gonne, tasche ricolme di verdi incantesimi per liberare ventri da piani economici. Loro sapevano. Che non eri cosa da usare ma una mano stretta nell’altra. Come un corpo che gesta, come una tonda montagna che respira, una vita regalata al dovere di cura. Eri in fondo un’interfaccia gioiosa tra i bisogni della carne e le economie del dominio. La tua fertilità misurata, la tua assenza calcolata. Loro sapevano ma dovevano ancora imparare moltissimo.

Scambiata lungo le rotte mediterranee, sovrasfruttata, sistematicamente raccolta e consumata, la pianta fu soggetta a un processo di esaurimento ecologico dovuto all’incapacità di riprodurla in condizioni agronomiche controllate. L’assenza di tecniche di domesticazione e la sua ecologia riproduttiva poco adattabile la resero incompatibile con i modelli di mercificazione intensiva. Come molte specie selvatiche con cicli vitali lunghi e meccanismi di propagazione imprevedibili, sfuggì ai tentativi di standardizzazione agricola, sottraendosi alla pressione di un uso antropico eccessivo.

A una pioggia nera si associò la tua fine. Gocce scure di ingordigia pesavano sulle tue foglie e per quanto ti sforzassi di rimanere solida sul tuo fustino scanalato un nuovo desiderio del capitale scorreva appassendo i tuoi frutti. La tua scomparsa parla il linguaggio della stanchezza. Stanchezza della terra, del grembo, delle mani, di una donna naturalizzata natura e di una natura naturalizzata donna. Forze di riproduzione esaurite, logorate dal comando della produttività. Hai scelto la strada dell’estinzione. Forse fu un gesto volontario, una ritirata strategica, una forma estrema di rifiuto io penso. Diventasti pianta fantasma, superstite nei racconti e nelle ossa delle monete. 

 “A memoria di questa generazione un unico stelo fu trovato lì, e venne mandato all’imperatore Nerone”² — così scrisse Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia, ultima traccia documentata del Laserpicium. Nel tentativo di comprendere non solo la scomparsa botanica ma anche il suo significato epistemologico e politico, la quasidonna che sono interroga il seme:

Ti immagino, ti ritraggo, ti modello, ti riproduco, e forse riproduco me stessa in una sorta di partenogenesi per corrispondenza. Che nella nostra simbiotica alleanza ci sia una via di fuga dall’ossessione del visibile che governa sempre di più la riproduzione? 

Potrebbe. Forse è proprio nella pratica immaginativa, nell’ascolto del non visibile e del non addomesticabile, che si annida una forma di sapere resistente. Un sapere che non chiede di essere riconosciuto, ma che insiste. La riproduzione, un campo simbolico dove il controllo si insinua, ma dove anche il dissenso talvolta germoglia e si propaga senza permesso, ai margini. E domanda, senza chiedere, di essere continuato. Ai piedi del monte Hasan, in Cappadocia, dopo duemila anni e a circa 800 miglia dal luogo in cui cresceva, sorgono ora fiori gialli, con radici aromatiche, fusto scanalato e proprietà medicinali molto vicine a quelle dell’antico silfio. 

L’alfabeto “camminante” è stato progettato graficamente e fisicamente con Emma Castelnuovo, in occasione della performance “Parthenogenesis” a Fabbrica del Vapore, Milano. Attraverso l’azione performativa emma dissolve il confine con le viscere del niente, rendendo inutili forme di speculazione ed intrusione esterne e generando dialoghi che si spingono oltre quelli convenzionali. Il tratto percorso durante la performance si fonda sull’atto tanto arcaico quanto banale del camminare, distorcendolo e riportando l’attenzione sui suoi protagonisti: i piedi. In questo camminare essi esprimono i pensieri delle due performer che, lentamente, si avvicinano per trovare conforto in una distruzione generatrice. La tenacia rivoluzionaria della pianta di silfio ha ispirato con i suoi fiori, semi e frutti le forme grafiche dell’alfabeto ed ogni simbolo è associato a un movimento del piede. Per cui ogni lettera corrisponde ad un passo. Passeggiando al parco, attraversando la strada o al centro commerciale è possibile comunicare in modo silenzioso con chi è a conoscenza di questo alfabeto, scambiarsi messaggi, allarmi, pensieri nascosti.

Note
¹ Balzano, A. (2024). Eva Virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazione. Meltemi Editore.
² Pliny the Elder, Natural History, Harvard University Press, Loeb Classical Library.

 

Riferimenti bibliografici

Balzano, A. (2024). Eva Virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazione. Meltemi Editore.

Barca, S. (2020). Forces of reproduction: Notes for a Counter-Hegemonic Anthropocene. Cambridge University Press.

Braidotti, R. (1996). Madri, mostri e macchine.

Federici, S. (2021). Caliban and the Witch: Women, the Body and Primitive Accumulation. Penguin UK.

Katz, B. (2020, January 30). See the Sun’s Surface Move in ‘Unprecedented’ Detail. Smithsonian Magazine. https://www.smithsonianmag.com/science-nature/the-lost-roman-herb-that-could-treat-everything-180974096/

Pliny the Elder, Natural History, Harvard University Press, Loeb Classical Library.

Riddle, John M. Eve’s Herbs: A History of Contraception and Abortion in the West. Harvard University Press, 1997. 

Tg, R. S. (2022, October 4). Ritrovato in Cappadocia esemplare di Silfio. Sky Tg24.   https://tg24.sky.it/mondo/2022/10/04/silfio-pianta-estinta-cappadocia

Una pianta che si pensava estinta dai tempi di Nerone forse non è estinta. (n.d.). Il Post. https://www.ilpost.it/2022/10/03/silfio-pianta-estinta-antica-roma/

 

Crediti fotografici

Courtesy the author

 

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