- Silvio Mottolese
- Luglio 4, 2025
Resistere all'emergenza: uno sguardo antropologico sul progetto del dissalatore sul fiume Tara
Taranto è un posto di merda¹
Questa è l’opinione di tanti giovani del territorio che decidono di andar via. In effetti, a livello ambientale, non ci sono validi motivi per contestare questa definizione poiché, nel corso della storia locale, ogni ecosistema raggiungibile è stato degradato dall’agricoltura, dall’industria, dall’attività portuale, dal traffico di rifiuti e dall’esercito.
Eppure, qua e là, alcuni micromondi di resistenza ancora sopravvivono: le gravine, geologicamente impossibili da cementificare; pochi boschi preziosi, miracolosamente scampati al disboscamento; infine alcuni fiumi, che devono la loro vitalità all’intricato sistema di acque sotterranee della regione che alimenta sorgenti, polle e citri. Tra questi fiumi c’è il Tara.
Lu Fjùme
Per gli abitanti dei comuni circostanti, il Tara è lu fjùme: il fiume per antonomasia. È un luogo amato e frequentato da una comunità di bagnanti che lo vive in una pluralità di modi diversi. Per dare un’idea della varietà sociale che esso ospita, la gente del posto suddivide una giornata estiva in quattro fasce orarie: la mattina è il tempo delle famiglie; l’ora di pranzo, fra le 12.00 e le 15.00 circa, è il momento più vuoto, in cui circola solo chi vuole godere dell’intimità e tranquillità del posto; il pomeriggio invece è il tempo dei ragazzi, quando il fiume viene invaso da auto e moto e si riempie di voci, musica e bevande; infine la sera il fiume torna vuoto e silenzioso.
Il Tara è frequentato anche da comunità religiose che vi compiono rituali unici. La processione della Madonna del Tara avviene ogni anno, all’alba del primo settembre, e termina con un bagno collettivo dallo scopo apotropaico. Le acque del Tara, infatti, sono considerate terapeutiche da tempi immemorabili. È curioso che già nel 1811, quando era ancora una palude malarica, Giovanbattista Gagliardo ne parla come un rimedio efficacissimo per le malattie de’ nervi.
Esiste anche una comunità buddhista, con sede a Taranto, che vi pratica dei rituali di purificazione.
Il Tara è uno di quei pochi posti che rendono Taranto ancora vivibile. Bella.
Il dissalatore
Oggi questo fiume rischia di scomparire perché si trova coinvolto in un piano d’emergenza per affrontare la crisi idrica della Puglia. La regione non è attualmente autonoma per l’approvvigionamento idrico e i cambiamenti climatici rendono sempre più urgente una soluzione. Il piano per la costruzione di un dissalatore (che sarà “il più grande d’Italia”) sta velocemente ottenendo tutte le approvazioni necessarie, nonostante le tante voci contrarie che si sollevano sia dalla popolazione (la Rete Difesa Fiume Tara), sia dagli enti istituzionali interpellati in conferenza dei servizi (ARPA, ASL, Ministero della Cultura, Comune di Taranto, per citarne alcuni). Secondo il WWF Taranto i prelievi d’acqua previsti dal progetto (un massimo di 1000 litri al secondo), uniti agli altri prelievi che già vengono fatti per l’industria siderurgica e per l’agricoltura (in media 1100 l/s), supereranno la portata minima del fiume che dovrebbe restare al di sopra dei 2000 l/s. Questo causerebbe impatti irreparabili su tutto l’ecosistema, che peraltro è costituito anche da specie rare e protette, come la lontra e il gambero di fiume. A ciò bisogna aggiungere, poi: gli espropri dei terreni attigui e l’abbattimento di 907 ulivi per far spazio all’infrastruttura, il rilascio nel Mar Piccolo degli scarti salmastri del processo di potabilizzazione e l’enorme quantità di energia necessaria al funzionamento del dissalatore. È evidente che gli impatti non ricadranno solo sul fiume, come se fosse un’entità circoscritta e isolata; ma si estenderanno a catena su tutta la zona.
Antropologia del fiume Tara I. L'emergenza
Le criticità tecniche del progetto sono tante², tuttavia il mio scopo qui è interrogare la questione con gli strumenti dell’antropologia contemporanea, confidando che la disciplina possa offrire nuovi spunti di riflessione per mettere in luce alcuni nodi problematici.
Il discorso emergenziale delle politiche istituzionali è un importante punto di partenza. In che modo il concetto di emergenza viene applicato al contesto locale? È un punto di vista adeguato?
Le pratiche statali e interstatali di gestione della crisi idrica propongono una visione dell’emergenza come un momento isolato, circoscritto, un’eccezione all’ordine quotidiano. In queste pratiche l’acqua appare unicamente come una risorsa, un bene appropriabile e commercializzabile: un approccio, questo, che rischia di occultare la dimensione dinamica e plurale di tutti i processi che nel lento scorrere del tempo hanno portato a questa crisi idrica.
Come cambierebbe il discorso se considerassimo che il 52,36% dell’acqua immessa nelle tubature dell’acquedotto viene persa per via della mancata manutenzione?³ O se considerassimo la totale deregolamentazione della gestione idrica, che da ormai un secolo permette l’escavazione di pozzi abusivi, da cui verosimilmente si rifornisce oggi la maggior parte della popolazione?⁴ O che il 70% dell’acqua è destinata a un’agricoltura intensiva basata su varietà colturali non adatte alla regione?
La narrazione dell’emergenza è il prodotto di un preciso orizzonte culturale, che attribuisce al tempo presente un significato in linea con il mantenimento di un ordine sociale. I miti dello sviluppo, del progresso e della crescita illimitata, profondamente radicati nell’immaginario locale, alimentano questa narrazione e creano l’illusione che la soluzione possa essere cercata all’interno di questi stessi paradigmi. Infatti, per far fronte a una situazione ormai “fuori controllo”, la gente è facilmente disposta ad affidarsi alle istituzioni.
Non si tratta di anomalie. È il normale funzionamento di un sistema sociale.
Antropologia del fiume Tara II. L'accettazione
È importante qui sottolineare che i vantaggi e i rischi nella costruzione del dissalatore saranno distribuiti in maniera diseguale. La popolazione locale percepisce bene questa mancanza di giustizia ambientale: una consapevolezza ormai rassegnata per via della lunga storia di abusi ambientali e sociali che ha reso Taranto, così come tanti altri luoghi del Meridione, una zona di sacrificio.
Questa rassegnazione si presta benissimo ad essere interpretata come una forma di incorporazione di un sistema di potere. La storia di devastazione e di speculazione capitalistica si sedimenta nei corpi delle persone. Ciò porta a normalizzare un’ingiustizia pur evidente, la quale così viene pacificamente accettata come inevitabile, mentre ciò che realmente conta per la gente viene delegittimato. Una monocultura della mente⁵ funzionale al consolidamento di determinate gerarchie di potere politico ed economico.
Così la gestione emergenziale della crisi si rivela come una nuova configurazione di governance nei tempi dell’Antropocene.
La resistenza
Non tutti però sono disposti ad accettare il dissalatore. Una resistenza si sta sollevando.
Si tratta di voci sparse: una cinquantina di associazioni diverse, comitati e singoli cittadini che si riuniscono con il nome collettivo di Rete Difesa Fiume Tara. Rispetto ai numeri demografici dei comuni coinvolti, è una rete esigua, ma le sue voci sono decise e competenti. Cercano strenuamente di svelare i meccanismi fuorvianti della stampa locale che sostiene il progetto, le narrazioni parziali o stravolte della questione e le mancanze politiche, proponendo alternative valide e sostenibili.
Oggi, in tempi di crisi ecologiche globali, non è più possibile sostenere pratiche e politiche basate su concezioni parziali. È necessario, come propone anche l’etnografia multispecie contemporanea, adottare una prospettiva più ampia, multidisciplinare, basata non su singoli eventi isolati, ma sugli intrecci dinamici e relazionali fra agenti umani e non umani, in un’ottica temporale che abbraccia anche il passato e il futuro. Vedere l’essere umano come parte di un tutto molteplice in continuo divenire. E curare questo tutto.
Oggi ancor di più è responsabilità individuale (oltre che politica) resistere alla continua perdita di ecosistemi, di culture, di specie viventi, di paesaggi e di orizzonti di senso e fare questo significa ripensare i vecchi schemi di pensiero che continuano a rivelarsi distruttivi per l’intero sistema-Terra.









Note
¹ Citazione tratta da: Pisapia J. C., Mongelli I., 2022.
² Per approfondimenti rimando al sito: www.veraleaks.org. La Rete Difesa Fiume Tara non nega la necessità di affrontare la crisi idrica, ma propone delle soluzioni alternative in linea con i suggerimenti del mondo scientifico, come: la riparazione delle perdite dell’Acquedotto Pugliese, la messa in funzione degli invasi inutilizzati e il riutilizzo delle acque reflue.
³ I dati qui riportati sono tratti da: Migliaccio A., 2009.
⁴ In alcuni territori il fenomeno diventa paradossale perché i servizi forniti dai consorzi sono sotto-utilizzati. Prelevare l’acqua da pozzi abusivi, infatti, è molto più facile, economico e veloce.
⁵ Shiva V., 2012.
Riferimenti bibliografici
Agosta A., 2024, Acque contese: mobilitazioni sociali e regolazione pubblica delle risorse idriche nella macroregione Puglia-Basilicata, «Storia e futuro», 59, pp. 7-22.
Baffi E., 2014 (1948), Le acque scorrenti nel tarentino: trascrizione del manoscritto esistente nella biblioteca Acclavio di Taranto, Taranto, Scorpione.
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Csordas T. J. (a cura di), 1994, Embodiement and experience: the existential ground of culture and self, Cambridge, Cambridge University Press.
Dall’Ò E., Falconieri I., Gugg G., 2022, Il tempo delle emergenze. Prospettive teoriche e campi di ricerca per l’antropologia tra disastri e cambiamenti climatici, «Antropologia», 9 (2), pp. 45-72.
Descola P., 2014, Oltre natura e cultura, Firenze, SEID.
Gagliardo G., 1811, Descrizione topografica di Taranto con quella dei suoi due mari; delle sue pesche; del suo territorio; de’ suoi prodotti marittimi e terrestri; de’ rottami delle sue antichità; e colla serie de’ suoi uomini illustri, Napoli, Angelo Trani.
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Migliaccio A., 2009, Waterscapes: dall’emergenza idrica alla rifondazione di una cultura locale dell’acqua. Il caso pugliese, in Società Italiana degli Urbanisti, Il progetto dell’urbanistica per il paesaggio: XII conferenza nazionale Società degli Urbanisti, Bari, Adda, pp. 1-15.
Pisapia J. C., Mongelli I., 2022, Per un’antropologia estetica della crisi ecologica: teatro, arti visive e «crisi della presenza» nella città di Taranto, «Antropologia», 9 (3), pp. 111-131.
Shiva V., 2012, Monocolture della mente: biodiversità, biotecnologia e agricoltura scientifica, Bollati Boringhieri.
Crediti fotografici
Courtesy the author

Classe 1994, è un antropologo culturale e ricercatore che vive e lavora tra Massafra – in provincia di Taranto – e Bologna. Dopo aver conseguito gli studi presso quest’ultima, grazie ad alcune esperienze di volontariato ambientale, esplora le dinamiche di conflitto e convivenza tra pastorizia e fauna selvatica, con focus sui grandi predatori delle montagne italiane. Amante del proprio territorio e vicino al mondo dell’attivismo ambientale, sta attualmente conducendo una ricerca sugli impatti sociali derivanti dal progetto del dissalatore sul fiume Tara, in Puglia.
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