Tricarico antropologica: maschere, culture e ritualità senza confini

Arriviamo a Tricarico verso le quattordici, in un caldo pomeriggio di fine maggio. Le colline dell’entroterra lucano sono immerse in una luce dorata, quasi rituale. Il paese, arroccato come un sogno tra passato e presente, pulsa già di vita: le anime che lo abitano si muovono con fervore, da una parte all’altra, animate da un obiettivo comune che sembra guidare ogni gesto — la festa.

Siamo a poche ore dall’inizio della quattordicesima edizione del RIMA – Raduno Internazionale delle Maschere Antropologiche, e Tricarico è già tutta un’officina comunitaria. Anche i più anziani indossano con orgoglio le magliette del festival. I tricicli motorizzati fanno la spola sul Viale Regina Margherita, trasportando materiali, legna, maschere e vivande. Ai bordi della via, i bar e i piccoli ristoranti offrono riparo dal sole: rifugi per paesani, maschere in borghese e viandanti come noi, arrivati da lontano, troppo presto per assistere al corteo ma non abbastanza tardi per un piatto di strascinati con peperoni cruschi, cacio ricotta e mollica.

Ai piedi del Palazzo Ducale, le griglie sono pronte, il toro è allo spiedo e i camioncini del cibo propongono prodotti locali. Intorno, un fermento collettivo che ha il sapore antico della partecipazione vera. Tutti fanno qualcosa — chi monta un palco, chi addobba un vicolo, chi suona un tamburo. Eppure, come in ogni piccolo teatro del mondo, c’è anche chi osserva dal bar, tra un caffè e un bicchiere di vino, augurandosi forse che qualcosa non funzioni. È parte del gioco, parte della realtà.

Tricarico non è solo il teatro di un festival. È un dispositivo sociale e culturale attivo, un esempio virtuoso di turismo sostenibile e antropologicamente consapevole, che trasforma la tradizione in metodo e il rito in pratica politica del presente. Qui il folklore non è spettacolo da vetrina, ma linguaggio vivo, capace di interrogare il nostro tempo e suggerire traiettorie altre per il futuro dei piccoli paesi del Sud Italia.

Il RIMA 2025 — che si svolgerà tra il 31 maggio e il 1° giugno — è un evento unico nel suo genere: una festa popolare e insieme una riflessione profonda sull’identità, sull’alterità, sulle maschere come strumenti di trasformazione. Maschere che arrivano da ogni angolo del mondo per incontrarsi nel cuore della Basilicata, in un dialogo che attraversa continenti, storie e mitologie.

Il secondo giorno si apre con un’orchestra di tamburi che risuona nel borgo, richiamando altri musicisti giunti da lontano, tutti uniti da una stessa pulsazione. Si sale, tra balli e abbracci, fino alla Torre Normanna, dove le maschere cominciano a radunarsi: un corteo di figure arcaiche e multiformi, pelli e campanacci, piume e corna, che scendono poi in sfilata tra le vie del paese, tra applausi e commozione.

Tricarico diventa così metafora di un Sud possibile, che non rinnega la propria storia ma la abita con consapevolezza. Un Sud che fa della sua marginalità geografica un centro simbolico, un crocevia di culture, una fucina di alternative. Qui la festa non è evasione, ma occasione per rinsaldare legami, rigenerare appartenenze, educare alla complessità e al rispetto dell’altro.

In un’epoca in cui il turismo tende a consumare più che a comprendere, Tricarico propone un’altra via: un modo di viaggiare rispettoso, partecipativo e consapevole, che parte dal rispetto per i territori e le comunità. Un modello da osservare, studiare e replicare. Perché, forse, è proprio in questi piccoli luoghi che si custodisce il futuro che stiamo cercando.

In un tempo in cui i viaggi sembrano più orientati al consumo che alla comprensione, Tricarico indica un’altra direzione: una forma di scoperta fondata sulla relazione, sulla lentezza e sull’etica dell’incontro, fondata sul rispetto dei luoghi e delle comunità che li abitano. Un modello prezioso, da osservare con attenzione, da studiare e, soprattutto, da replicare. Forse è proprio in questi piccoli centri, spesso ai margini delle rotte consuete, che si custodisce il futuro che stiamo cercando.

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